giovedì, 30 settembre 2004 - 14:38
"Che l'attuale Presidente degli Stati
Uniti, George.W. Bush, avesse vinto le ultime elezioni presidenziali in maniera
non proprio limpidissima, lo sapevamo. Ma non sapevamo che molte migliaia di
elettori - in gran parte afro-americani - fossero stati privati, in Florida,
del loro diritto di voto. Che Bush e la sua famiglia avesse rapporti di affari
con la famiglia Bin Laden, era noto. Ma che gestissero congiuntamente società
di costruzioni di armi, lo ignoravamo. Che il Presidente degli Stati Uniti - e
la sua amministrazione - avessero sottovalutato il pericolo di un attacco
terrorista alla vigilia dell'11 settembre era risaputo. Ma che addirittura
avessero ignorato un eloquente rapporto dell'Fbi che parlava di un imminente attacco
su larga scala sul territorio americano, è una sorpresa. Che Bush avesse tratto
giovamento dall'attacco alle torri gemelle instaurando un clima di paura e
terrore tra gli americani era sotto gli occhi di tutti. Ma del fatto che poi
decurtasse del 40% i fondi per la sicurezza nazionale e che facesse sorvegliare
la costa dell'Oregon (150 km!) da un solo poliziotto, francamente eravamo
all'oscuro.Questo è uno dei pregi del cinema di Michael Moore: andare al di là
della superficie dei fatti, approfondendo l'analisi del suo ragionamento fino
al dettaglio - apparentemente più insignificante - capace, però, di
incastonarsi con precisione svizzera, come la rotellina più minuscola di un
oliato meccanismo. Un cinema che fa del montaggio la sua cifra stilistica essenziale
e del commento il filo conduttore di una storia che parte dalla festa di Al
Gore per un'elezione che poi non ci fu ("... e se fosse solo un
sogno" la chiosa iniziale) fino al dolore disperato di una madre che ha
perso suo figlio in Iraq ("Ci ha fatto venire qui per niente, mamma"
scrive nella sua ultima lettera). Un viaggio che racconta la carriera di una
rampante rampollo di una ricca famiglia di petrolieri che gioca a fare il
presidente della Nazione più potente del mondo. Dei suoi sorrisi finti che
odorano di cerone, delle sue frasi fatte espresse ad arte per far ridere un
cenacolo di giullari ossequianti. È un cinema che dà notizie quello di Michael
Moore e che graffia. Ma non lo fa con gli artigli dell'offesa o degli slogan
preconfezionati. Le sue armi sono una lucida ironia (terribilmente
irresistibile quando chiede ai membri del Congresso di firmare il modulo per
far arruolare i propri figli nei Marines...) e le informazioni circostanziate
dalle quali scaturiscono domande le cui risposte sconcertano per la loro cruda
semplicità.Ma quello dell'autore di "Bowling a Columbine" è anche un
cinema fatto di facce e di sguardi: quello ottuso del Presidente, con un libro
per bambini in mano (era in visita in una scuola elementare e leggeva "La
mia capretta") quando gli comunicano che le due torri sono state
attaccate; il profilo da pescecane dei suoi amministratori adusi al potere; lo
sguardo allucinato dei soldati in Irak che ascoltano musica a tutto volume
durante le cariche con i carri armati; l'espressione irreale della gente che
assiste alla caduta delle torri; gli occhi laceri dei bambini di Baghdad; i
lineamenti straziati dal dolore dei familiari che si vedono recapitare l'ultima
busta paga del figlio soldato con lo stipendio decurtato perché è andato a
morire cinque giorni prima del giorno di paga...È anche la faccia di Michael
Moore - il rotondo ovale che potrebbe avere il nostro fornaio di fiducia o il
nostro giornalaio - che alla fine del film cita Orwell e ci dice che la guerra
è solo uno strumento per il mantenimento dello stato dello cose.Giuseppe Tomasi
di Lampedusa insegna.
Daniele Sesti"
La mia recensione personale è molto molto più
concisa, perchè ieri, uscendo dal cinema, ero letteralmente SENZA PAROLE. Tutto
ciò che mi veniva in mente e che avrei potuto rispondere a chi mi avesse
chiesto un parere sul film era ed è: che vergogna.Per nessuna proiezione ho mai
pianto: ieri sera sì.
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