giovedì 16 febbraio 2012

Il Navigatore (parte 4)



--Quando Marijo si sentiva solo o deluso dalla sua vita terrestre, o semplicemente quando gioiva per qualche soddisfazione, il mare era sempre lì ad aspettarlo per accogliere le sue parole, comprenderle nei suoi abbracci sinusoidali, caricarle di significato gonfiandole nelle sue onde e rispedire a riva la sua risposta, stendendola sul bagnasciuga ai piedi del suo migliore amico. Allo stesso modo, Marijo era presente quando l’acqua e il suo sale avevano bisogno di uno sfogo e gli si concedeva totalmente, lasciando il suo corpo disteso fra le onde e permettendo a queste di sussurrargli nelle orecchie tutti i loro segreti. 
Camminando sul ponte, lungo il bordo della piccola nave, interrogava le onde. Queste, permalose, frustavano lo scafo schizzandogli il viso di sale. “Mi stai schiaffeggiando?”, pensava Marijo, rivolgendosi al mare. E si accarezzò la guancia, raccogliendo un po’ di amorevole umidità. Sfregò l’indice con il pollice guardandoli da vicino, come a voler analizzare le gocce e scoprire attraverso queste il messaggio che la sua amante le stava mandando. Ma l’unica cosa che poté concludere fu che la sua pelle assorbiva più in fretta di quanto immaginasse e che l’acqua penetrava fra le screpolature della sua mano come la pioggia in un terreno arso dalla siccità. Così, non capiva che quelle gocce erano lacrime, le lacrime che solo una donna innamorata del suo uomo riesce a piangere con tanta sincerità.
Fu in quell’attimo che Marijo, alla sua sinistra, riuscì a vedere distintamente, alla luce del tramonto, il profilo di Capo Verde. A passo spedito raggiunse il timone e, fra mille incomprensibili calcoli mentali e rotte e coordinate, virò a manca con un gesto deciso delle mani, incrociando l’avambraccio destro sul sinistro più volte, fino a indirizzare il suo não a sud-est, verso Rio Congo, verso il finis terrae, verso le Indie. La nave era in ritardo, a fine settembre avrebbe dovuto trovarsi già ben oltre Elmina. Ma, si sa, per due amanti il tempo non esiste e anzi, se esistesse, scorrerebbe molto più lentamente, permettendogli di rimanere il più a lungo possibile vicini, inseparabili. Così Marijo si era lasciato trasportare dal suo amore e non dai venti, frenando la velocità della nave per godere fino in fondo ogni singolo istante che il tempo gli concedeva di passare lì, al centro della sua amante, fra le sue braccia, fra i suoi sospiri, i suoi sguardi carezzevoli, i suoi occhi turchini, la sua pelle vellutata. Ma il tempo non aspetta gli amanti, non si frena e trascina dietro di sé tutto il suo mondo, senza adattarsi alle necessità di nessuno, e con sé porta la notte e il giorno, i mesi, le stagioni e, soprattutto per un navigatore, i venti. Il tradimento è sempre in agguato, per due persone che si amano. Per quanto amore ci possa essere, per quanto profondo esso sia, l’imprevisto è elemento inevitabile nella vita degli esseri viventi, così come nella vita della natura e, fra i venti, i monsoni sono quanto di più imprevedibile le stagioni possano offrire, sono il periodo dell’ambiguità, il volubile che si fa tangibile. Ecco perché, nonostante non fossero nemmeno giunti i primi giorni di ottobre, il monsone invernale, quell’anno, aveva deciso di arrivare, inaspettato, violento, carico di nubi tronfie e scure, bagnate ed estese. L’acqua del mare liberava tutto il calore che aveva accumulato durante l’estate, offrendolo senza pudore alla fredda atmosfera al di sopra della sua superficie. Aspirando così l’umidità, formava una coperta di nuvole sopra la quale i venti cominciarono a giocare fra di loro ad altissima velocità dando alle nubi un movimento a spirale, e sotto la quale lei, l’acqua del mare, diede inizio a una danza a imitazione della ballata superiore[...]--

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