venerdì, 08 luglio 2005 - 15:01
Fra i grandi russi
del Novecento, Daniil Charms è forse sinora il meno conosciuto. Un po’ per il
carattere frammentario di questi testi, un po’ per le infelicissime sorti
editoriali che essi hanno subìto, solo in questi ultimi anni ci si è potuti
rendere pienamente conto della loro rilevanza e unicità. Dotato di un
debordante talento comico, unito a un perverso rigore metafisico, Charms è
maestro nel vanificare qualsiasi realtà gli accada di nominare. Racconti di
pochi istanti, trame incongrue e persecutorie, irrisioni sistematiche: questo è
il terreno della sua prosa. Verrebbe da pensare al dada, come alla «poetica
dell’estremismo» più affine a Charms. Ma la sua singolarità è tale da non
tollerare inquadramenti. Charms rimane soprattutto come uno stupefacente
narratore di «casi», tanto gratuiti quanto ineluttabili. Rispetto alla gelida
purezza dei suoi esperimenti di parodia sistematica di tutto, le versioni
occidentali dell’assurdo – da Camus a Ionesco – appaiono timide. Charms stesso
accennò una volta alla peculiarità del suo modo di essere con parole quanto mai
semplici, dirette e precise: «A me interessano solo le “sciocchezze”, solo ciò
che non ha alcun significato pratico. La vita mi interessa solo nel suo
manifestarsi assurdo. Eroismo, pathos, ardimento, moralità, commozione e
azzardo sono parole e sentimenti che mi sono odiosi. Ma comprendo perfettamente
e ammiro: entusiasmo ed esaltazione, ispirazione e disperazione, passione e
riservatezza, dissolutezza e castità, tristezza e dolore, gioia e
riso».
(Tratto da: http://lafrusta.homestead.com/rec_charms.html)
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