martedì 14 febbraio 2012

Dante


giovedì, 16 marzo 2006-19:57 


Fin dalla preistoria, l’uomo si è chiesto chi fosse, perché vivesse e grazie a chi. Questo desiderio di conoscenza ha portato con sé l’insicurezza (chi sono veramente io?), l’angoscia per il futuro (cosa sono chiamato a fare?) e la paura di un giudizio dall’alto (come agire giustamente?). Risultato: dolore e sofferenza, dubbi e tedio. Conseguenza di ciò, la ricerca, a volte “matta e disperatissima”, delle risposte.
All’incirca verso la metà della sua vita, anche Dante si è deciso per questo cammino, o meglio, ha trovato una risposta alle domande e ha voluto renderla pubblica: la Divina Commedia.
Non posso soffermarmi a descrivere quest’opera, tanto ultraterrena è la sua grandezza.
Tuttavia, qualche giorno fa stavo leggendo il primo canto. Sappiamo tutti molto bene la storia della selva, della valle e del colle e delle tre fiere.
Ora, l’interpretazione più gettonata delle tre fiere le definisce come l’una, la lonza, materializzazione della lussuria (una lonza leggiera e presta molto,/ che di pel maculato era coverta”), l’altra, il leone, come materializzazione della superbia (“Questi parea che contra me venisse/ con la test’alta e con rabbiosa fame”) e l’altra ancora, la lupa, come materializzazione dell’avarizia, intesa come brama di possesso (“Ed una lupa, che di tutte brame/ sembiava carca nella sua magrezza”).
D’altro canto, l’Inferno di Dante è un’oltretomba tripartita (del resto il numero tre è stato, fin dall’antichità, il numero perfetto). Eccezion fatta per la selva, l’antinferno (al quale sono condannati gli ignavi), il limbo (destinato ai non credenti, non battezzati e spiriti magni) e il VI cerchio (degli eretici), tutti gli altri peccati si possono raggruppare in tre categorie: incontinenza, violenza, frode. Ora mi chiedo, cos’è dunque l’incontinenza? Non è forse l’impossibilità di frenare i propri impulsi? Significato molto simile a quello dell’avarizia della lupa.
Cos’è la violenza? Un modo aggressivo di reagire, sia fisicamente sia moralmente: il leone.
E la frode? Non è altro che l’inganno, di se stessi o degli altri. La lonza è un animale immaginario, dunque inganna la mente, tradisce l’immaginazione!
Perciò, com’è spontaneo il parallelismo tra le tre fiere e la suddivisione dell’inferno dantesco. Forse, dunque, Dante, attraverso le tre fiere, può mostrarci sia le debolezze dell’uomo peccatore e le tentazioni che sviano dalla retta via, sia il programma del suo Inferno. Un parallelismo e qualitativo e tecnico.
Un’altra osservazione che mi ha colpito è stata quella del cammino di Dante attraverso la selva, poi la valle e infine la visione del colle. Dante ci descrive la selva come un luogo buio e pericoloso (“selva oscura […]selvaggia e aspra e forte”), dunque, la sede del peccato, il buio della ragione. La valle, invece, sembra essere la via che porta verso la luce intravista sul colle, cioè la salvezza, ovvero, un cammino di espiazione (“Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto/ là dove terminava quella valle/ che m’avea di paura il cor compunto”). Il colle non è altro che la salvezza e il mezzo di purificazione dell’anima, dove la ragione prevale sulle passioni, la verità sulla menzogna e dove la forza d’animo la fa da padrona sulle debolezze umane; il colle è la luce (“guardai in alto e vidi le sue spalle/ vestite già de’ raggi del pianeta/ che mena dritto altrui per ogne calle/ Allor fu la paura un poco queta”).
Forse Dante voleva anticiparci il percorso che la sua opera avrebbe seguito, che l’uomo avrebbe dovuto affrontare per arrivare alla salvezza: selva=inferno, valle=purgatorio, colle=paradiso.
Ora, non vogliate giudicarmi peccatrice di superbia o di superficialità per questo mio post, dal momento che, per amore della letteratura, di Dante e della scrittura, ho semplicemente voluto parlare di tutte e tre, come del resto faccio sempre nel mio blog. Tutto ciò è pura fantasia di una studentessa.

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