Muovendo i passi in un campo
di bocche di leone
il mio sguardo è inciampato
in un argenteo soffione.
Era soffice, diverso, rotondo
ma sfumato,
sensibile al mio tatto, luminoso
sincero e dorato.
Lo appoggiai alle mie labbra
e lui rispose
con un dolce ondeggiare del pappo
e le piume setose.
Lo spinsi vicino al mio cuore
con delicata premura
e, sorpresa, erano i suoi battiti
a coprire la mia paura.
Lo accolsi nel mio grembo
con un fertile amore
ed ecco, lui pianta un seme
dentro al mio cuore.
Allora gli chiesi: davvero mi vuoi
a te qui vicina?
Rispose chinando il suo stelo
alzandomi come regina.
Una dettaglio, però, avevo scordato:
era un soffione.
E questa, che a me parve solo timidezza,
era il solito vigliacco dente di leone.
Piegato si era per fuggire strisciando
a cercare protezione
fra le mani di un’altra “regina”,
il mio caro sornione.
Ma io lo riprendo, fra l’indice e il pollice,
ferita e sorpresa
e soffio sui quei capelli che ora paiono grigi
lasciandolo senza difesa.
Così, nudo, mi appare e mi fa ricordare
che è il solito banale soffione
fra tanti; gettando alle spalle la sua mediocrità,
proseguo cercando la vera rarità.

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