sabato 11 febbraio 2012

Si mostra completamente, per non mostrare niente: lo sguardo


sabato, 29 gennaio 2005 - 18:11 

"(...) noi non guardiamo gli occhi (...) come guarderemmo una petruzza d'opale o d'agata. Noi sappiamo che il piccolo raggio che li irida o i grani di brillante che li fanno scintillare sono il solo elemento visibile a noi di un pensiero, di una volontà, di una memoria, dove risiede la casa familiare che noi non conosciamo, gli amici prediletti che invidiamo. Il possesso di quel mondo ignoto, così difficile, così restìo: ecco quel che dà valore allo sguardo, assai più della sua bellezza materiale (...)".       (Proust, Alla ricerca del tempo perduto)

Già...cos'è che ci spinge a rimanere prigionieri di due occhi, di uno sguardo? E' ciò che c'è dentro, è ciò che non possiamo vedere, che non ci è concesso sapere; è il mistero a noi precluso che serbano nel loro profondo intimo. Non è il colore, la tonalità ad affascinarci. Sappiamo che la luminosità, l'opacità, l'iridescenza di uno sguardo è la maschera di una caverna in cui noi non possiamo entrare. Non poter giungere alla conoscenza di questo iperuranio di segreti, non poterne fare parte è ciò che veramente ipnotizza il nostro stesso sguardo. Due anime che cercano di scoprirsi l'un l'altra, ma entrambe in ombra dietro a una luce.


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