giovedì, 26 maggio 2005 - 13:39
"A che scopo
vivere se soffrire è la mia parola d'ordine, l'angoscia la mia lingua madre e
l'ansia il mio inno? Mi accorgo di quanto Lei sia ormai mia Padrona e io,
docilmente prostrata ai piedi del Suo trono, soccombo ogni qual volta il Suo
scettro sfiora le mie spalle. Allora mi rimembro della Sua presenza e alzo lo
sguardo, volgendolo a Lei; Lei che tanto amo e che amo odiare; Lei che ride
della mia sottomissione mentre con mano materna accarezza i miei capelli. Mi
consola, mi abbraccia e mi bacia le gote, poi stringe sempre più forte fino a
soffocarmi, come Commodo a Cicerone. Amiamoci, poichè per sempre vivremo
vicine. Odiamoci, sovente ci faremo del male. Oh, quanta crudeltà scorre nelle
tue vene! Eppure, senza di te mi manca il respiro, quello che tu stessa poi mi
togli. Oh, amorose punizioni le Tue! Non vedi che piango per te?"
(tratto da 'Riflessioni di un'anima eremita', le
memorie di Kalindi Achala, 5 ottobre 1937)
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